Perché abbiamo bisogno di Intelligenza Emotiva

Qualche anno fa, con il breve ma intenso lavoro Sentire e Conoscere pubblicato da Adelphi (Damasio, 2021), offrendo una sintesi della sue ricerche , Antonio Damasio propose di non trascurare il contributo di una forma di intelligenza occulta, non esplicita, per la comprensione di noi stessi ed anche dei fenomeni sociali.

Ha chiamato questa intelligenza non mentale, caratteristica delle forme di vita più semplici, “capacità di rilevare una presenza”.

Questa forma primitiva di cognizione pre-riflessiva e pre-verbale permise l’adattamento e alla vita di mantenersi in vita.

Poi arrivarono i sentimenti, le immagini, le percezioni, le rappresentazioni e con essi l’arte e la cultura umana.

Dissociare la comprensione di noi stessi e dei fenomeni sociali dalla loro dipendenza con i processi biologici di conoscenza non esplicita che permettono, inizialmente, di rilevare stimoli sensoriali e di rispondere in modo funzionale alla vita, e successivamente, di sentire e generare risposte affettive è ciò che ci permetterebbe, oggi, di guardare al futuro con più fiducia.

Purtroppo questa dissociazione sta, invece,  mettendo a rischio l’esistenza umana sul nostro pianeta.

Senza affetto, sterilizziamo ogni forma di alterità. Invece siamo continuamente esposti e chiamati ad una vicinanza sfiorante e mai fusa.

Questa incapacità di sentire, di “rilevare una presenza”, nella sua forma più evoluta intrisa di affetti e sentimenti, attivando meccanismi di adattamento funzionali al mantenimento delle funzioni vitali più essenziali, sembra essere il grande problema del nostro tempo.

Una sorta di “sterilizzazione dell’altro” ci difende e ci rinchiude nell’illusione di una sicurezza patologica.

Patologica perchè, come osserva Stenghellini (Noi siamo un dialogo, 2024) l’incapacità di stare dentro la relazione con l’alterità è alla base della sofferenza mentale.

Chiamo Intelligenza Emotiva la qualità che accompagna invece ogni scelta personale e sociale nel momento in cui, “rilevando una presenza”, se ne fa carico responsabilmente.

C’è poca Intelligenza Emotiva quando la persona o l’organizzazione, dissociandosi  dalla relazione con l’alterità, si allontanano inconsapevolmente dal proprio scopo evolutivo.

Conoscere i meccanismi di funzionamento delle nostre risposte psicofisiologiche agli eventi che ci incontrano è utile sempre, ma soprattutto nei momenti in cui le nostre risposte possono influenzare la vita delle persone e delle organizzazioni.

Chi svolge una professione a contatto con le persone o semplicemente ha relazioni educative, o chi ha responsabilità di leadership o di selezionare team per il raggiungimento di determinati obiettivi si è già accorto che non bastano le competenze tecnico-professionali.

Questa capacità di rilevare una presenza è quella che io chiamo Intelligenza Emotiva, che, se allenata, favorisce la consapevolezza di sé, la possibilità di dare un senso alle proprie  emozioni e di usarle per prendere decisioni in armonia con il nostro scopo.

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